Clarissa Pinkola Estés (2)

  • Categoria: Etnografa
  • Nascita: 27 gennaio 1945
  • Morte:
  • Nazionalità: Americana

Compagni di Viaggio - Clarissa Pinkola Estés

Clarissa Pinkola Estés nasce il 27 gennaio 1945 da genitori messicani nello stato dell’Indiana (USA).
All’età di circa quattro anni viene data in adozione ad una coppia di immigrati ungheresi. Cresce circondata da persone provenienti da molte tradizioni diverse; sono proprio le tradizioni orali dei cantastorie europei che costituiscono una parte fondamentale della sua vita quotidiana. Né i genitori naturali, né quelli adotti-vi sapevano leggere e scrivere, Clarissa è la prima della sua famiglia a finire le scuole elementari. Verso la fine degli anni sessanta si sposta a occidente, verso le Montagne Rocciose, qui entra in contatto con persone provenienti dalle più svariate parti del mondo.E’ una donna molto riservata, della sua vita privata infatti conosciamo poco, si sa che ha tre figlie: Tiaja, Christine, Melissa.
C. Pinkola Estés si occupa di etnografia e le sue ricerche la conducono verso sud, in un viaggio che le darà modo di conoscere alcune delle rare e antiche comu-nità di origine latinoamericana e di trascorrere del tempo anche con i nativi americani, ascoltando e documentandosi sulle loro storie

«…ai tavoli delle cucine, sotto pergolati d’uva, nei pollai e nelle stalle, mentre impastavo tortillas, inseguivo animali selvaggi, rica-mavo il milionesimo punto croce… Ovunque andassi, bambini, matrone, donne rugose, gli artisti dell’anima, spuntavano dai boschi, dalla giungla, dalle praterie per deliziarmi con gracchiamenti e versi…».(2)

Consegue la laurea in psicologia etno-clinica, intra-prende un percorso di formazione come analista jun-ghiana presso lo Union Institute di Cincinnati (OH). Nel 1984 ottiene un post dottorato presso la Inter-Regional Society of Jungian Analysts di Zurigo, Svizzera. E’ stata direttrice del C.G.Jung Center di Denver. Tutt’oggi insegna ed esercita la professione di analista.
Nel 2006 è stata ammessa alla Colorado Women’s Hall of Fame ed è membro del consiglio del Maya Angelou-Research Centre of MinorityHealth alla Wake Forest University School of Medicine.
E’ giornalista e capore-dattore di «The Moderated Voice», un blog che tratta temi di politica e informazione; è fondatrice e direttri-ce della Guadalupe Foundation, una organizzazione per i diritti umani. E’ sempre stata molto impegnata nel sociale. Attraverso un lavoro di ricerca plurienna-le, ClarissaPinkolaEstés, ha raccolto molto materiale attinto soprattutto al patrimonio delle fiabe, dei miti, dei racconti popolari c he ha saputo coniugare con la propria esperienza di vita vissuta con passione e i va-lori cattolici, fondanti la sua educazione. Insegna in tutto il mondo performance e narrazione, per diverse categorie di professionisti interessati ad apprendere una comunicazione basata sull’uso di strumenti anti-chi da utilizzare in contesti attuali.
È autrice di numerosi libri, il primo e più famoso dei quali è ”Donne che corrono con i lupi”, tradotto in più di 40 lingue e best seller per oltre 145 settimane.
L’Autrice racconta al lettore una delle favole più belle della sua infanzia in un libro di grande suggestione e saggezza: “Il giardiniere dell’anima. Una favola senza tempo

Il giardiniere dell’anima è scritto in forma di fiaba, “la lingua madre psichica delle mie famiglie dell’infanzia”(1), ci dice l’Autrice che fa riferimento all’antica tradizione della sua gente, magiara e messicana, di raccontare storie mentre ci si dedica alle faccende quotidiane.

“Alle domande sul vivere la vita, specie se riguardano questioni di cuore e d’anima, si risponde il più delle volte narrando una storia o una serie di racconti. Per noi una storia è una persona viva e cara, sicché ci pare affatto sensato, così come un a-mico invita un altro amico a unirsi alla conversazione, che una certa storia ne richiami un’altra e un’altra ancora.”(1)

Questo libro contiene le storie di un padre, un vecchio, una bambina, un campo,un albero. Mi soffermo sulla storia dell’albero.
“Ciò che non muore mai. Una volta, disse lo Zio, tanto tanto tempo fa, all’epoca in cui gli animali benedetti ancora sapevano parlare e gli essere uomini potevano ancora comprendere il linguaggio degli animali, c’era un giovane abete che, sebbene fosse piccolo d i statu-ra, era grande di spirito. Viveva nelle profondità di una foresta circondato da alberi molto più grandi, molto più maestosi e molto più antichi di tutti quelli fino ad ora noti….. il piccolo abete aveva sentito sussurrare dagli alberi più vecchi che gli alberi abbattuti venivano trasportati in un luogo meraviglioso, un luogo chiama-to casa. Là venivano trattati con il massimo riguardo, levigati da molte mani e messi in un’acqua lenitiva … l’albero diventava l’ospite d’onore della casa. Era per la verità tra le glorie più fantastiche che potessero toccare ad un albero….”(1)


Un giorno il piccolo abete, ormai diventato grande, fu scelto da una famiglia.
Il padre iniziò a colpire l’abete con una scure “al primo colpo l’abete sentì il dolore più forte che avesse mai provato in vita sua e sven-ne”(1), fu portato a casa e qui si risvegliò. Tutti diceva-no che era bello, il nonno e la nonna “lo sollevarono con mani gentili. Lo ammiravano, lo carezzavano, lo rivoltavano da tutte le parti, posero il tronco tagliato dell’albero in un secchio d’acqua fredda che alleviò gran parte del dolore”(1)

L’albero, che fu ornato con palline e nastri colorati, si trovò a vivere il suo momento di gloria assoluta e provò una gioia infinita. Ma dopo qualche giorno le cose cambiarono “il padre prima staccò le decorazioni, poi tolse l’albero dall’acqua e lo … trasportò … in soffitta, al buio. L’albero era allarmato…”(1)

In suo soccorso arrivano due topoline ed iniziò tra loro una interessante conversazione

“dice una ‘Oh, caro albero, insomma, hai vissuto una buona vita, non è vero?’ ‘ Si’, annuì tristemente l’albero. ‘Ah, so che ti sentivi nato per quella vita, tanto da deside-rare che non cambiasse mai. Ma tutte le cose, caro albero, anche le cose buone, ad un certo punto hanno fine’ ‘Questo tempo deve finire?’ esclamò l’abete. ‘si’, rispose la topolina … ‘si questo tempo deve finire. Ma ora inizia un tempo diverso. Una vita nuova, un tipo diverso di vita segue sempre all’antica. Lo vedrai.”(1)

Dormirono insieme tutta la notte e il mattino seguente il padre salì in soffitta per prendere l’abete e portarlo giù fuori in cortile dove, con un’accetta, iniziò a tagliarlo in diversi pezzi.

“Al primo colpo l’abete pensò di morire.”(1)

Dopo un po’ di tempo l’abete si risvegliò nella stessa stanza dove aveva vissuto momenti felici.

“Seduti sulle sedie davanti al camino riconobbe i due vecchi che si erano presi cura di lui la prima volta quando era arrivato a casa loro dal bosco e avevano lenito la sua ferita con l’acqua fredda, poi il vecchio prese… un pezzo e lo mise nel camino. L’abete capì nella profondità del suo cuore che questo era il suo gioioso lavoro nel mondo: creare calore per persone come quelle… notte dopo notte l’abete si arrese al suo destino contento di essere utile e di essere vivo in questo modo, bruciò finché di lui non rimase più nulla se non le ceneri in fondo alla grata... i due vec-chi lo spazzavano via dalla grata, … erano molto attenti, con le vecchie mani sagge delicatamente spaz-zarono via ogni granello di cenere dal camino. Mise-ro le ceneri in un sacchetto reso morbido dall’uso. E lo riposero in attesa del-la primavera. Al primo scaldarsi della terra i due vecchi tirarono fuori il sacchetto, andarono per i loro giardini e i loro campi e con cura spar-sero le ceneri dell’abete ovunque, e sulle vigne che avrebbero dato buoni frutti, e su tutta la loro terra. Mescolarono le ceneri dell’abete con il terriccio. Col tempo, coll’arrivo delle piogge e del sole di primavera, esse si sentirono come rianimare. Qui e là, sotto e attorno le ceneri, minuscoli germogli di un verde brillante spuntarono dal suolo e l’abete sorrise mille sorrisi e sospirò mille sospiri nella sua felicità di essere ancora una volta utile ‘Oh, non sapevo proprio di poter finire in cenere e portare comunque tanta nuova vita. Che grande fortuna mi è capitata nella mia esistenza. Sono cresciuto nella solitudine del bosco. Poi che bei giorni e che belle notti di vetri tintinnanti e di lume di candela e di canti ho conosciuto. Nel tempo della so-litudine e del bisogno nella notte più buia, fui accolto amorevolmente da estranei, coloro che volevano es-sermi famiglia, e altro ancora. Persino mentre mi arrendevo al fuoco scoprii di poter emanare una luce immensa e un grande calore dal cuore. Quanta for-tuna, quanta fortuna ho avuto’. Ah, sospirò l’abete, ‘di tutte queste ascese e cadute e nuove ascese, è l’amore della vita nuova, e l’amore di questa soltan-to, che dura e dura. Ora sono ovunque. Visto come vado lontano?’ E quella notte, mentre la grande stel-la attraversava il cielo notturno dell’universo, l’abete giaceva sulla terra benedetta, librandosi vicino a tutte le radici e a tutti i semi per riscaldarli, e le sue ce-neri nutrivano per sempre tutte le cose che crescono, e queste a loro volta ne nutrono altre, che a loro vol-ta ne nutrono altre ancora, per tutte le generazioni a venire. In questa bella terra, da cui era venuto e a cui ora era tornato, dormì bene e sognò profondamente, circondato, come un tempo nella foresta profonda, da quanto è molto più grande, molto più maestoso e molto più antico di qualunque cosa nota prima d’ora.”(1)

Le fiabe sono un balsamo per l’Anima, è solita ripete-re Clarissa Pinkola Estés, dandocene una efficace dimostrazione con questo libro, che testimonia la sua profonda fiducia nella potenza insoppri-mibile della vita. Condivido la riflessione riportata nella seconda pagina di copertina:

“strutturate come piccole matrioske l’una dentro l’altra, le storie fluiscono in queste pagine rega-landoci frammenti di un’unica verità: la vita si ripete, si rinnova e, per quanto calpestata, sradicata o torturata, essa possiede l’inestinguibile facoltà di rigenerarsi se solo si coltivano la speranza e l’attesa. I ritmi della natura, le tradizioni culturali, i sentimen-ti più autentici si fondono in questo piccolo gioiello letterario in cui l’essenza terapeutica delle fiabe aiuta a riscoprire, anche nei momenti delicati e complessi del cambiamento e della transizione, la forza per trovare la propria strada alla felicità”. (1)

Bibliografia

C.P. Estés, Il giardiniere dell’anima, Frassinelli 1996, PiacenzaCecchi E., www.enciclopediadelledonne.it
C.P. Estés, www.clarissapinkolaestes.com


Viviana Nacchi
Kore Informa Giugno 2017